L’infermiere di famiglia non è sicuramente una figura nuovissima, ma è destinata a diventare protagonista in questa fase 2 di emergenza causata dal Covid-19 e anche successivamente perché l’intenzione del Governo, così com’è emerso dal Decreto Rilancio, è appunto di rilanciare la sanità affidando alla Regioni il compito di riorganizzarla.
Centrali dunque diventano le figure degli infermieri di famiglia che possano garantire assistenza e supporto sul territorio e per le quali è previsto che siano arruolati 9600 professionisti, prima con contratto autonomo e poi con assunzioni a tempo indeterminato. E se, come dichiara Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), quello di puntare sul potenziare l’assistenza “è il valore aggiungo che ideputati hanno dato con i loro emendamenti segnalati al decreto Rilancio”, in attesa dell’ok definitivo del Parlamento, vediamo in cosa consiste questa figura, quali sono le sue competenze e le attività che svolte.
Cosa fa l’infermiere di famiglia
Assistere davvero i più fragili, senza che nessuno sia lasciato solo e nel momento in cui davvero c’è bisogno per avere un sistema sanitario più capillare e presente: a questo serve l’infermiere di famiglia come si può capire dalle stesse parole.
Stando a quello che dice la Fnopi, l’infermiere di famiglia è un professionista che è specializzato in terapie riabilitative e socio-sanitarie, quella figura che, praticamente, segue una o più persone una volta che sono uscite dall’ospedale, garantendo loro la ripresa o comunque di poter portare avanti le cure previste.
Non è pertanto un badante anche se spesso si tende a confondere con questa figura anche perché di fatto è molto più nota e “utilizzata”. Si differenzia inoltre dall’infermiere di comunità che, come si può intuire, lavora all’interno di realtà più grandi come centri di riabilitazione mentre l’infermiere di famiglia si occupa essenzialmente di un nucleo familiare.
Stando sempre a quanto dice la Fnopi, questa figura può gestire i processi infermieristici collaborando con il medico generale e il pediatra di base. Le sue funzioni sostanzialmente possono essere quelle di valutare lo stato di salute e i bisogni di una persona nelle diverse fasi della sua vita: infanzia, adolescenza e vita adulta ed ecco perché si differenzia da un badante che segue gli anziani.
L’infermiere di famiglia inoltre promuove le iniziative di prevenzione, ma anche interventi informativi ed educativi ai singoli e alle famiglie per migliorare gli stili di vita, pianifica e dà iinterventi assistenziali personalizzati alla persona e alla famiglia, anche avvalendosi delle consulenze specifiche degli infermieri esperti.
Previste 9600 assunzioni per l'infermiere di famiglia: chi è e cosa faClick To TweetAll’infermiere di famiglia poi spetta il far rispettare piani terapeutici e riabilitativi, sostenere i percorsi di continuità assistenziale tra sociale e sanitario, tra ospedale e territorio e nell’ambito dei servizi territoriali sanitari e sociosanitari residenziali e semi-residenziali. E, come previsto anche dalle Legge 219/17 sul consenso informato, può fare informazione sul rischio che riguarda il sorgere o il complicarsi di malattie croniche contribuendo alla cosiddetta relazione di cura ma anche alla volontà del paziente nel pianificarla. Insomma, una figura molto più vicina – per forza di cose – di quanto possano essere i medici e gli infermieri in ospedale.
L’infermiere di famiglia dunque contribuisce dal punto di vista dell’assistenza, della formazione sanitaria e dell’informazione, svolgendo dunque terapie, medicazioni e tutto quello che riguarda un infermiere tradizionalmente ma anche dando supporto psicologico e assistenza morale.
L’infermiere di famiglia in Lombardia e altre regioni
La figura dell’infermiere di famiglia a livello nazionale è sicuramente “nuova”, ma negli anni passati era già stata sperimentata in alcune regioni come per esempio la Lombardia, il Piemonte e la Toscana che avevano deliberato l’introduzione nel Servizio sanitario regionale della figura prevedendone sia ruoli e funzioni, come si legge sempre nel documento della Fnopi, ma anche percorsi formativi.
Ce n’erano state poi altre come l’Emilia Romagna, la Valle d’Aosta, il Friuli-Venezia Giulia e la Puglia che hanno attivato sperimentazioni, ma è appunto il Decreto Rilancio che potrebbe rilanciare questa figura che diventa cruciale specie dopo l’emergenza che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo.
Cosa dice il Decreto Rilancio sugli infermieri di famiglia
Come dicevamo, il Decreto Rilancio parla dell’inserimento di 9600 infermieri di famiglia che possono essere assunti da aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale al momento o come lavoratori autonomi o come co.co.co ossia con un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. Tale rapporto di lavoro dovrebbe decorrere fino al 31 dicembre e prevedere non più di 8 infermieri per 50mila abitanti.
Gli infermieri potranno poi essere inseriti con contratto stabile a tempo indeterminato a partire dall’1 gennaio 2021.
Tutto questo vale per infermieri che non si trovino in costanza di rapporto di lavoro subordinato con strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private accreditate.
Quanto guadagna l’infermiere di famiglia
Anche questo aspetto è chiarito dal Decreto Rilancio dove si legge: per le attività assistenziali svolte è riconosciuto agli infermieri un compenso lordo di 30 euro ad ora, inclusivo degli oneri riflessi, per un monte ore settimanale massimo di 35 ore.
Maria Teresa Pontara Pederiva
Sto sperimentando l’infermiere di famiglia nell’ambito delle cure che ricevo dalla Provincia autonoma di Trento in quanto paziente oncologica: è una sicurezza sapere di poter contare su un’assistenza seria e competente che si esplica con visite settimanali, telefonate e quant’altro da parte del medico di base e dell’infermiera designata.
Mi auguro che in tutto il resto del Paese questa esperienza possa essere allargata e sperimentata da tutti gli altri, non necessariamente pazienti oncologici, ma in caso di malattia cronica si tratterebbe quasi di considerarla una necessità.
Cristina Maccarrone
Grazie per avere condiviso l’esperienza, Maria Teresa!