La tua azienda ti ha comunicato che tu e i tuoi colleghi continuerete a fare smart working anche dopo la fine dell’emergenza? Oppure hai iniziato a lavorare da poco in questa modalità?
Qualunque sia la situazione in cui ti trovi, come bisogna regolarsi con i buoni pasto? Sono dovuti anche durante lo smart working causa Covid o, visto che si lavora per lo più da casa, i datori di lavoro possono anche fare a meno di darli? Vediamo in questo articolo di capirne di più.
Cosa si intende per smart working: una precisazione doverosa
Prima, però, di entrare nel merito dei buoni pasto in smart working, detto anche lavoro agile, ricordiamo che tale modalità di lavoro non coincide come erroneamente si pensa con il telelavoro da casa.
Il lavoro smart è una modalità di lavoro svincolata sia da orari che da postazioni fisse, si basa infatti sul raggiungimento degli obiettivi in accordo con il proprio datore di lavoro. Pertanto, potresti tranquillamente lavorare dalla tua sala da pranzo così come da casa dei tuoi genitori, ma anche al bar, in un coworking, sul treno, in biblioteca ecc… Certo, in epoca di pandemia, è molto più probabile che l’ufficio sia una stanza della propria abitazione o la propria cucina, ma di fatto potresti lavorare ovunque.
Cosa dice la legge riguardo ai buoni pasto
Quanto ai buoni pasto, il decreto che regola quei ticket restaurant che possono essere spesi al ristorante, in pizzeria, ma anche al supermercato per intenderci (anche se non dovrebbe essere utilizzato per acquistare prodotti che non siano alimentari) è il n.122 del 7 giugno del 2017, di fatto entrato in vigore il 9 settembre dello stesso anno.
Il decreto individua tutti gli esercizi presso i quali “può essere erogato il servizio sostitutivo di mensa reso a mezzo dei buoni pasto, le caratteristiche dei buoni pasto e il contenuto degli accordi stipulati tra le società di emissione di buoni pasto e i titolari degli esercizi convenzionabili, al fine di garantire la libera ed effettiva concorrenza nel settore, l’equilibrato svolgimento dei rapporti tra i diversi operatori economici, ed un efficiente servizio ai consumatori”.
Ciò sta a significare che quando non c’è una mensa aziendale, i lavoratori in linea di massima possono avere diritto al buono pasto, cosa che può essere meglio esplicitata nel contratto collettivo di riferimento.
A ogni modo, se nel CCNL il buono pasto non è previsto, il datore di lavoro non è costretto a darlo. È infatti a sua discrezione: non basta pensare di non avere la mensa in ufficio per ricevere automaticamente il buono pasto.
Detto questo, tra quelli che ne hanno diritto, a titolo generale ci sono non solo i lavoratori dipendenti, ma anche i collaboratori anche non subordinati e i lavoratori autonomi che possono chiederli al momento dell’accordo con un datore di lavoro deducendo il costo dall’imponibile come se fosse una spesa di rappresentanza e legata alla tipologia di lavoro.
Buoni pasto e smart working causa Covid: ecco perché non sono sempre dovuti Click To TweetI buoni pasto durante lo smart working da Covid
Questa la situazione a grandi linee, ma durante lo smart working causa Covid, le cose sono leggermente più complicate. E bisogna fare, pertanto, due distinzioni doverose tra le due modalità di erogazione a monte:
- se il buono pasto è incluso all’interno del CCNL o è precisato nell’accordo individuale, allora il buono pasto resta anche in caso di smart working;
- se si tratta di una decisione da parte del datore di lavoro ossia di una erogazione autonoma, il buono pasto può essere tolto in qualsiasi momento
Nel primo caso, infatti, se c’è un accordo scritto qualsiasi variazione deve essere per forza resa per iscritto e, nel caso del CCNL, è necessario anche l’intervento dei sindacati.
Per la Cassazione e il Tribunale di Venezia non sono dovuti
Quanto abbiamo detto vale a grandi linee perché ci sono due episodi giuridici che mettono in discussione quello che abbiamo detto finora e risalgono entrambe a periodi piuttosto recenti.
Il primo è l’ordinanza n.16135 della Corte di Cassazione che il 28 luglio ha precisato, a seguito del ricorso da parte di un lavoratore che riteneva erronea la revocabilità dei buoni pasto, che anche se c’è una “reiterata e generalizzata prassi aziendale dal 1999 all’aprile 2006″ a dare i buoni pasto, la natura dei ticket restaurante non è di essere parte della retribuzione normale ma di:
“agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale”.
E questo sta a significare che non solo vengono ribadite altre sentenze che si sono pronunciate in merito, ma anche che l’erogazione può essere variata anche in modo unilaterale dal datore di lavoro e questo anche senza un accordo sindacale.
Altra sentenza in merito è quella del Tribunale di Venezia, n.1069 dell’8 luglio, che ha dato ragione al Comune di Venezia che aveva sospeso i buoni pasto ai propri dipendenti in smart working. Decisione che conferma che il buono pasto è un di più, un benefit, che il dipendente non matura quando è in modalità smart working, non c’è un orario di lavoro prefefinito e sempre valido.
Se dunque tale orario non c’è, secondo il tribunale mancano i presupposti per cui il lavoratore matura il buono pasto anche perché è libero (o almeno così dovrebb essere) di organizzare la sua prestazione dal punto di vista temporale come meglio ritiene.
Buoni pasto e smart working nella Pubblica Amministrazione
Questa sentenza, che riguarda appunto un ente pubblico, è l’ulteriore conferma che anche nel settore della PA i buoni pasto durante lo smart working non sono così scontati. Che poi il buono pasto non sia un diritto per il lavoratore né un obbligo per il datore di lavoro, lo conferma anche l’articolo 45, comma 1 del CCNL Enti locali del 2000 che dice:
“Gli enti, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, secondo le modalità indicate nell’art. 46, attribuire al personale buoni pasto sostitutivi, previo confronto con le organizzazioni sindacali”.
Potere non vuol dire dovere.
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