Sei incinta e andare al lavoro ti pesa per il clima che si respira o perché non vai d’accordo con capo e colleghi e vorresti licenziarti? O il tuo bimbo è nato da poco, ma il rientro in ufficio è stato tutt’altro che facile e ogni giorno pensi di andare via?
Se ti trovi in una di queste situazioni (o simili) e stai appunto pensando di rassegnare le dimissioni mentre sei in maternità, sappi che non solo puoi farlo, ma anche che puoi avere diritto alla Naspi (indennità di disoccupazione).
In questo articolo ti parleremo della procedura da seguire, e di come gestire il tuo licenziamento e se le dimissioni in maternità si possono davvero considerare per giusta causa.
Dimissioni volontarie: cosa dice la Legge
Intanto una premessa: se decidi di andare via, stai procedendo con le dimissioni volontarie, un atto unilaterale e recettizio in cui, come lavoratore decidi in maniera autonoma di interrompere un rapporto di lavoro subordinato.
Dal 12 marzo 2016, la procedura è inoltre cambiata: mentre prima bastava presentare la classica lettera di dimissioni, adesso, perché il rapporto si possa davvero dire concluso, devi fare tutto attraverso una procedura online.
Questo perché anni fa il Ministero del Lavoro, con il D.Lgs 151/2015, decise di contrastare il fenomeno delle “dimissioni in bianco” che, per altro, colpiva spesso proprio le donne di una certa età (considerate ancora fertili), cui al momento dell’assunzione veniva chiesto di firmare… già le proprie dimissioni.
Questo vale per tutti tranne per chi si dimette in maternità, come vedremo qui sotto.
Dimissioni in maternità: si possono considerare giusta causa
Se sei convinta di volerti licenziare, sappi che le dimissioni in maternità in apparenza non vengono considerate come dimissioni per giusta causa.
Tra i motivi della giusta causa ci sono infatti gli episodi di mobbing, l’essere molestati sul lavoro, il non ricevere retribuzioni per mesi ecc… eppure la Legge, riguardo alla giusta causa, parla di:
Una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.
Ecco perché da tale formulazione si può arrivare a concepire la giusta causa come un qualsiasi atto o fatto, che ovviamente può essere riferito alla sfera contrattuale ed entro alcuni limiti a quella extracontrattuale, di oggettiva gravità.
Tra le motivazioni, per l’appunto potrebbe rientrare la mancanza di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore che va a minare il rapporto o il fatto che, per esempio, vivere sempre in una situazione di particolare stress possa inficiare anche la maternità o il divieto di passare al part-time.
Dunque, per ricapitolare: non si tratta di giusta causa propriamente detta, ma appunto la condizione di maternità lo può prevedere.
Come dimettersi: il DTL e la convalida
Detto questo, come fare per dimettersi? Anche in questo caso, occorre fare delle differenze: se è vero che prima ti abbiamo detto che ormai la procedura è essenzialmente telematica, nel caso delle dimissioni di maternità perché ci sia la convalida, è necessario rivolgersi alla DTL, ossia la Direzione territoriale del Lavoro (ex Ispettorato del Lavoro).
Questo è fondamentale perché le dimissioni siano convalidate e si possa verificare che non è un caso di dimissioni in bianco (quindi frutto delle costrizioni da parte dell’azienda).
Nel momento in cui ti presenterai alla DTL, dovrai avere con te i seguenti documenti:
- carta d’identità
- codice fiscale
- ultima busta paga
- copia del contratto di lavoro
In particolare, per quanto riguarda quest’ultimo, la copia è fondamentale per sapere in quale CCNL (Contratto collettivo nazionale di lavoro) è stato inserito e gli orari della tua attività lavorativa.
Lettera di dimissioni in maternità
Alla DTL pertanto dovrai presentare una lettera di dimissioni in cui dovrai indicare:
- di che dimensioni è l’azienda per cui lavori (ossia quanti dipendenti, grosso modo)
- in che settore opera
- perché ti stai dimettendo (ossia quali sono le tue motivazioni).
Se lo fai perché hai chiesto il part-time e non ti è stato concesso, perché vuoi dedicarti a tuo figlio (questo ovviamente quando è già nato), perché l’azienda si è trasferita in una sede più lontana, fosse anche momentanea ecc..
Il preavviso
A differenza di tutte le altre dimissioni volontarie, per quelle di maternità, entro il primo anno di vita del bambino, non è previsto alcun preavviso da rispettare.
Questo significa che potrai restare a casa dal giorno successivo alla convalida delle dimissioni. Il tuo datore di lavoro comunque sarà tenuto a pagarti l’indennità di preavviso e insieme a questa riceverai ferie e permessi non goduti e TFR (trattamento di fine rapporto).
La Naspi per le dimissioni in maternità
Se ti dimetti entro il primo anno di vita del bambino (quando appunto tutte le tutele sono rafforzate) avrai anche diritto alla Naspi, purché tu possa far valere almeno 13 settimane di contributi nel quadriennio ed almeno 30 giornate di lavoro effettivo nell’anno precedente).
Al pari però degli altri disoccupati, dovrai impegnarti attivamente per la ricerca di una nuova occupazione pertanto rendere la dichiarazione di immediata disponibilità a un nuovo lavoro, presentarti al centro per l’impiego per la sottoscrizione del patto di servizio e rispettare tutti gli obblighi previsti.
Consigli
Anche se entro il primo anno di vita di tuo figlio hai diverse tutele (allo stesso modo, infatti, non puoi essere licenziata in questo periodo), il nostro consiglio è di fare bene le tue valutazioni.
Magari la maternità non è semplice e questo non aiuta il tuo lavoro o magari la stessa esperienza del parto non è andata come voleva, in ogni caso, dal punto di vista della retribuzione, fino a quando nasce il bambino e anche subito dopo, con le varie differenze retributive, sei coperta dall’indennità di maternità.
E comunque, questo periodo lontano ti potrebbe aiutare a vedere le cose da un’altra prospettiva. Se però pensi che non ce la fai più, che la situazione è insostenibile, ricorrere alle dimissioni in maternità potrebbe essere per te sia l’occasione per stare più vicino a tuo figlio che di ripensare alla carriera lavorativa e nel frattempo avere il sostegno dello Stato.
Lascia un commento