Gli ultimi dati sulla situazione del mondo del lavoro in Italia lo dicono: crescono i voucher, diminuiscono i contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti dimostrando che il Jobs Act non è arrivato dopo si prefiggeva di fare. Ma a te, invece, di recente hanno offerto finalmente un contratto a tempo indeterminato e vuoi sapere cosa cambia rispetto al passato, cosa sono queste tutele crescenti, a chi si applicano ecc…
Proviamo a capirne di più.
Contratto a tempo indeterminato: significato
Intanto, cosa si intende per contratto a tempo indeterminato? Così come il contratto a tempo determinato e a differenza di un contratto a progetto, si tratta di un contratto di lavoro subordinato e dipendente. La sua caratteristica è la stabilità: questo contratto è infatti destinato a durare nel tempo, a meno che una delle due parti – datore di lavoro o lavoratore – non decidano di recedere. Insomma, a differenza del determinato che nasce con un termine indicato fin da subito, l’indeterminato – come dice la parola stessa – non ha scadenza.
In passato, il contratto a tempo indeterminato era il top per qualsiasi lavoratore: essere assunti con questa modalità significava davvero “avere il posto fisso”. Certo, a meno di casi in cui l’azienda fosse fallita o gravi motivi di licenziamento. Il Jobs Act invece ha un po’ cambiato le regole: il Governo si è impegnato “a promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato rendendolo più conveniente, rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti”.
Cosa significa? Vediamo insieme cosa è cambiato rispetto al passato.
Contratto a tutele crescenti
Con il decreto legislativo del 4 marzo 2015 è stato introdotto il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che a volte puoi trovare anche con l’acronimo CATUC.
All’interno di questo devono costituirsi tutti i contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nel settore privato per quanto riguarda i lavoratori che hanno qualifica di: operaio, impiegato e quadro. Praticamente tutti, tranne i dirigenti. Però non si tratta di un tipo di contratto diverso dal tempo indeterminato, ma di una sua nuova declinazione che prevede per i datori di lavoro essenzialmente questi benefici:
- agevolazione fiscale durante i primi tre anni del rapporto di lavoro, così come previsto dalla legge di stabilità del 2015, nel 2016 e anche in quella che riguarda il 2017;
- la semplificazione nei casi di recesso alias licenziamento.
Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti sostanzialmente dovrebbe fare quello che si fa nel resto d’Europa: convincere le aziende, a fronte di agevolazioni fiscali attraenti a stabilizzare i lavoratori anziché assumerli a tempo indeterminato o privilegiare altri tipi di contratto. Ultimamente, però, si è visto come le aziende hanno preferito altre formali rispetto a un’assunzione vera e propria.
Contratto a tutele crescenti: a chi si applica
Se ti assumono adesso o se l’hanno fatto qualche anno fa, ma dopo il 7 marzo 2015, sei tra coloro per i quali vigono le nuove regole del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Come dicevamo sopra, il contratto a tutele crescenti si applica a tutti i lavoratori dipendenti tranne i quadro. Le nuove tutele crescenti si applicano anche a te se avevi un contratto a tempo determinato che è stato convertito in indeterminato e anche in prosecuzione di un contratto di apprendistato. Inoltre viene applicato anche ai lavoratori alle dipendenze di un’azienda che dopo il 7 marzo 2015 abbia superato il limite di 15 dipendenti in una singola unità produttiva o di 60 sul territorio nazionale.
Se invece sei stato assunto prima del 7 marzo 2015 per te restano efficaci ed operative le disposizioni dell’art. 18 della Legge 300/1970 conosciuta come “Statuto dei lavoratori” e della Legge n.604/1966, ossia le tutele di tipo reale od obbligatorio così come riformate dalla legge 92/2012.
In definitiva, il nuovo contratto a tutele crescenti è per chiunque è stato assunto dopo il 7 marzo 2015, data spartiacque e propone un regime di tutele crescenti in base all’anzianità di servizio del lavoratore.
Queste “tutele” non sono contributi o diritti per quanto riguarda un eventuale avanzamento di carriera o altro, ma, alla luce di una maggiore anzianità, il dipendente avrà un trattamento diverso al momento di chiusura del rapporto di lavoro. Se in passato, licenziare un dipendente era molto difficile perché in tanti casi veniva proposto il reintegro – ossia il ritorno del lavoratore sul luogo di lavoro – adesso molti soluzioni riguardano i soldi che un lavoratore, in caso l’azienda abbia torto, ottiene quando gli viene riconosciuto di essere stato mandato a casa ingiustamente. E questo, se da un lato può essere un buon incentivo per le aziende ad assumere, dall’altro può diventare per il lavoratore un’arma a doppio taglio perché perde il lavoro e ottiene in cambio non molti soldi.
Ci spieghiamo ancora meglio con questo schema:
Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti:
- si applica una tutela contro i licenziamenti illegittimi prevalentemente indennitaria;
- la tutela ossia l’indennizzo cresce in base all’anzianità di servizio (entro un certo limite).
Contratto a tempo indeterminato tradizionale:
- nelle aziende con più di 15 dipendenti si applica la tutela reale (è garantita la reintegrazione) sin dal primo giorno del rapporto;
- la tutela applicabile non è in funzione dell’anzianità di servizio del lavoratore licenziato.
Tutele crescenti e licenziamento
Chiarito ciò, ecco in dettaglio cosa prevede il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Le ipotesi di reintegro sono ridotte e i casi in cui viene garantito il diritto a ritornare sul posto di lavoro sono:
- nel caso di licenziamento discriminatorio o nullo per espressa previsione di legge;
- licenziamento disciplinare nel caso in cui il giudice accerta l’illegittimità.
Vediamoli nel dettaglio.
Licenziamento discriminatorio o nullo
Per licenziamento discriminatorio o nullo si intende quando ci sono stati casi fortemente discriminatori o illegittimità: se vieni licenziata perché sei diventata madre (ma anche padre, sebbene sappiamo che questo è un caso rarissimo) o se per esempio ti sei sposato. È nullo poi il licenziamento fatto a voce o i casi in cui il giudice accerta che ci sia stato un licenziamento legato alla disabilità fisica o psichica del lavoratore.
In questi casi il lavoratore ottiene:
- un’indennità risarcitoria pari al numero di mensilità perse rispetto a quando viene reintegrato – e comunque non meno di 5 mensilità – comprese di contributi previdenziali e assistenziali;
- Se però il lavoratore non vuole ritornare sul posto di lavoro, può percepire un’indennità economica pari a 15 mensilità + il numero delle mensilità perse a causa del licenziamento fino alla reintegrazione. Esempio: mettiamo siano passati 7 mesi quando il giudice ti dà ragione e tu scelga la seconda opzione, hai diritto a 15 mensilità + 7.
Licenziamento disciplinare ingiustificato
Secondo caso: quando avviene il licenziamento disciplinare ingiustificato, tocca a te provare questa legittimità e c’è una differenza tra imprese con meno di 15 dipendenti e imprese che ne hanno di più. Se hai lavorato per un’azienda più piccola non hai diritto, in caso tu abbia ragione, al reintegro ma puoi riscuotere un’indennità economica a titolo di risarcimento, su cui dovrai accordarti.
Se invece l’azienda ha più di 15 dipendenti, puoi scegliere se:
- avere un’indennità economica pari 15 mensilità che vanno sempre sommate a quelle perse dal momento in cui ti hanno licenziato fino a che è previsto il reintegro (e comunque non meno di 5) e non tornare a lavorare
- tornare in azienda e avere diritto a un’indennità pari alle mensilità perse (non inferiori a 12) a cui va sottratto l’importo riscosso per le attività lavorative svolte in quel periodo o il potenziale importo che avrebbe potuto percepire se avesse accettato di svolgere un’attività classificabile come congrua dal D.lgs. 181 del 2000.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo/soggettivo e giusta causa
Sia per i licenziamenti per giustificato motivo che a quelli per giusta causa, si prevede, nei casi di accertata illegittimità, un indennizzo economico legato all’anzianità di servizio e non soggetto a contribuzione previdenziale.
In tali ipotesi, il giudice dichiara che il rapporto di lavoro è estinto nel momento in cui il lavoratore viene licenziato e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non soggetta a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.
Rispetto a tale tipo di tutela ci sono delle eccezioni (art. 3, comma 2 e art. 4):
- se il fatto materiale alla base del licenziamento per giustificato motivo soggettivo e per giusta causa non sussiste, si applica il regime delle reintegrazione sul posto di lavoro e il pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegrazione. Tale indennità non può essere in ogni caso superiore a dodici mensilità;
- se l’illegittimità è determinata da difetto di motivazione o da vizi procedurali, il giudice dichiara comunque estinto il rapporto alla data del licenziamento e l’indennità non può essere inferiore a un minimo di due e superiore a un massimo di dodici mensilità, variabili in base all’anzianità aziendale.
Questa indennità viene dimezzata nel caso in cui il datore di lavoro occupi fino a 15 dipendenti e rimane assorbita quando concorre con le indennità (di importo superiore) previste per i casi di nullità e illegittimità quando, oltre ai vizi formali e procedurali, vengano accertati vizi sostanziali del provvedimento da parte del datore di lavoro.
Se invece sei tu, in quanto lavoratore a impugnare il tutto, sappi che il datore di lavoro potrà revocare il licenziamento entro 15 giorni dalla relativa comunicazione, secondo quanto già previsto dalla Legge n.92/2012.
L’anzianità di servizio può valere nel prossimo contratto
La Legge salvaguarda l’anzianità matura dei lavoratori. In che senso? Metti il caso che hai un’anzianità di servizio particolarmente elevata, con il consenso del vecchio datore di lavoro, questa anzianità potrai “portartela dietro” nel nuovo rapporto di lavoro. Ossia, nella nuova azienda, potrai proseguire il rapporto di lavoro che avevi a tutti gli effetti conservando l’anzianità che avevi maturato nell’azienda dove hai lavorato fino a quel momento.
Nella cessione del contratto, che implica un accordo a tre – oltre ai due datori di lavoro, deve parteciparvi anche il lavoratore -, ben può essere pattuita anche la rinuncia a superminimi goduti nella vecchia azienda, oppure la loro sostituzione con benefici di diversa natura o funzione, così come il passaggio dal contratto collettivo applicabile presso quest’ultima al contratto collettivo eventualmente diverso applicabile presso la nuova.
Licenziamenti collettivi e piccole aziende
Il Decreto comprende anche le piccole imprese con meno di 15 dipendenti, sia le organizzazioni di tendenza. Nel caso delle piccole imprese gli importi indennitari sono dimezzati e possono arrivare ad un massimo di 6 mensilità.
Il Decreto include anche i licenziamenti collettivi – legati quindi a ragioni economiche – per cui non siano state correttamente seguite le procedure o i criteri di scelta previsti dalla Legge 223/1991, prevedendo l’applicazione dello stesso criterio dei licenziamenti illegittimi per giustificato motivo oggettivo, ossia la corresponsione di un’indennità compresa tra le 4 e le 24 mensilità. Resta valida l’ipotesi della reintegrazione nel posto di lavoro per i casi di licenziamento comunicato senza la forma scritta.
Contratto a tempo indeterminato e accordi extragiudiziali
I casi di cui sopra prevedono un intervento da parte del giudice, ma il D. Lgs 23/2015 prevede anche che tu ti possa accordare con il tuo datore di lavoro e, onde evitare di finire in giudizio, questo ti possa offrire una somma non assoggettata a tassazione IRPEF e a contribuzione previdenziale, commisurata all’anzianità di servizio (una mensilità per ogni anno) e compresa tra un minimo di 2 ed un massimo di 18 mensilità.
Questa somma deve essere erogata con assegno e non si esclude che le due parti si accordino per altri importi a chiusura di ogni altra pendenza derivante dalla chiusura del contratto come “transazione novativa”, ossia una ulteriore somma per cui il lavoratore così come il datore di lavoro la chiudono qui e in futuro rinunciano a qualsiasi altra richiesta. In tal caso, questa somma è soggetta al regime fiscale ordinario. Tali accordi devono essere fatti davanti alla Direzione Territoriale del lavoro.
Per verificare che i due si siano accordati, deve essere fatta un’ulteriore comunicazione da parte del datore di lavoro che integra quella di successione entro 65 giorni dalla fine del rapporto per dire come è andata la trattativa.
Contratto a tutele crescenti e periodo di prova
Per quanto riguarda il periodo di prova, vale quanto valeva prima anche con il Jobs Act: durante il periodo di prova si può essere licenziati senza motivazione.
La nuova normativa continua un altro aspetto di quella precedente: che le parti, in caso di un nuovo contratto e di anzianità di servizio da parte del lavoratore, si possano accordare, così come l’anzianità convenzionale, per non effettuare il periodo di prova. Ma lo ripetiamo: questo non è previsto dalla legge, ma si tratta di un accordo tra la tua azienda e te.
Tutele crescenti e sgravi fiscali per le aziende
Con la legge di stabilità sono stati confermati gli sgravi fiscali riconosciuti nel settore privato ai datori di lavoro che assumano tra l’1 gennaio 2017 e il 31 dicembre 2018 nuovi lavoratori.
I datori di lavoro arriveranno a risparmiare fino a 3.250 euro annui per la durata di 36 mesi al massimo, non dovendo versare il relativo contributo previdenziale in favore della risorsa assunta.
L’esonero contributivo dunque è per un totale massimo di 9.750 euro di risparmio sui contributi previdenziali versati dal datore di lavoro. Riguarda in particolare la quota a carico del datore di lavoro, quindi il 9,19% generalmente previsto a carico dei dipendenti, è escluso dall’agevolazione contributiva. Inoltre, sono dovuti i premi Inail.
La legge di stabilità “premia” inoltre le aziende che assumeranno con questo tipo di contratto gli studenti all’interno del programma di alternanza scuola-lavoro.
Contratto a tempo indeterminato: categorie escluse
Restano esclusi dal nuovo regime i lavoratori domestici, gli operai agricoli, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, coloro che hanno già beneficiato del bonus contributivo nel 2015, i lavoratori che hanno stipulato precedentemente un contratto a tempo indeterminato o hanno beneficiato di un rapporto di lavoro agevolato con la stessa impresa e i dipendenti che avevano stipulato nei sei mesi precedenti un contratto a tempo indeterminato a scopo di somministrazione.
E tu sei stato assunto con un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti? Come sta andando? Raccontaci la tua esperienza.
Nicola Liberalesso
Mi mi chiamo Nicola liberalesso Sono stato assunto 12 gennaio 2015 con contratto a tempo indeterminato faccio parte del job act? Il datore di lavoro mi può licenziare col sistema delle tutele crescenti? Attualmente sono in cassa integrazione Vi ringrazio per la risposta distinti saluti ho 48 anni
stex
C’è un errore nella sezione ” Tutele crescenti: a chi si applica” . Nel secondo paragrafo c’è scritto “(..)a tutti i lavoratori dipendenti tranne i quadro”.. in realtà si applica anche ai quadri. Gli unici esclusi sono i dirigenti.
Marika
Buongiorno nel 2015 sono stata assunta con contratto indeterminato job act, finito due anni fa per mie dimissioni, nel caso un altra azienda vorrà assumermi con contratto indeterminato job act potrà farlo?
Grazie
LUISA
Avendo avuto il contratto a tempo indeterminato dal 1 dicembre 2015 fino al 12 febbraio 2018 dopo mi son licenziata perche’ la Signora mi ha fatto lavorare solo x 4 mesi fino al marzo 2016 adesso mi chiede € 2.391,00 perche’ lei ha versato per pagare i miei contributi io sono obbligata a darglieli?
Valeria
Sono stata assunta da una cooperativa nel novembre 2014. L’appalto per cui sto lavorando finirà nell’ottobre 2019 e non di prevedono altri impiegi. In questo caso il datore di lavoro può licenziare tranquillamente?