L’imposta di bollo sul conto corrente è stata introdotta con il Decreto Salva Italia, ma non tutti devono pagarla e l’importo non è uguale per ogni contribuente. Vediamo a quanto ammonta questa “tassa sui depositi bancari” caso per caso.
Imposta di bollo sul conto corrente: cos’è e quando si paga
L’imposta di bollo sul conto corrente è in vigore dal 2012, a seguito dell’approvazione del Decreto Salva Italia. Si tratta di un’imposta annuale dovuta da parte dei titolari di un conto corrente e il suo importo dipende da due fattori: quanti soldi sono depositati sul conto e a chi è intestato.
Sui conti correnti si paga un’imposta di bollo pari a:
- 34,20 euro se i titolari sono persone fisiche e la giacenza media è superiore a 5.000 euro;
- 100 euro se i titolari sono persone giuridiche o comunque soggetti diversi dalle persone fisiche, qualunque sia la giacenza.
L’imposta viene calcolata con la stessa periodicità di rendicontazione adottata dalla banca, cioè segue la stessa cadenza con cui la banca invia l’estratto conto periodico (ogni trimestre, ogni semestre o una volta all’anno). Di solito, la banca invia la rendicontazione annuale al 31 dicembre e nell’ultimo estratto conto addebita l’imposta di bollo.
Se il conto corrente viene aperto o chiuso durante l’anno, l’importo dell’imposta di bollo sarà calcolato considerando soltanto i mesi di apertura del conto. Ad esempio, se una persona fisica apre un conto corrente il 1° luglio e la giacenza media è di 10.000 euro, per il primo anno pagherà un’imposta di bollo di 17,10 euro.
Se la stessa persona ha più di un conto corrente con la stessa banca, si considererà la giacenza di tutti i conti nel calcolo della giacenza media e, di conseguenza, nel calcolo dell’imposta di bollo dovuta. Se sommando le giacenze medie si supera la soglia di 5.000 euro, è dovuta l’imposta di bollo su ciascun conto (anche se la giacenza media di uno o più di essi è inferiore).
I depositi vengono sommati solo se si hanno conti presso la stessa banca e non se si ha un conto presso la posta e uno in banca oppure più conti in istituti bancari diversi tra loro.
Imposta di bollo sui libretti di risparmio
Lo stesso discorso appena fatto con i conti corrente vale per i libretti di risparmio, bancari o postali. I due strumenti sono considerati sullo stesso piano, dal momento che vengono usati dalle famiglie o dalle imprese per gestire il proprio risparmio corrente.
Gli importi dell’imposta di bollo sui libretti di risparmio è pari a:
- 32,40 euro per le persone fisiche, da pagare se il libretto ha una giacenza media superiore a 5.000 euro;
- 100 euro per le persone giuridiche, indipendentemente dal saldo.
Per i conti corrente e i libretti di risparmio intestati a persone diverse dalle persone fisiche può capitare che l’importo dell’imposta di bollo sia superiore al saldo disponibile. In questo caso il titolare deve comunque versare l’imposta per intero e non può ottenere una riduzione del costo.
Imposta di bollo sui conti deposito
A differenza di quanto accade per conti corrente e libretti di risparmio, l’imposta di bollo sui conti deposito, sui certificati di deposito, sui buoni fruttiferi postali e su altri strumenti finanziari (ad eccezione dei fondi sanitari e dei fondi pensione) non è fissa.
A partire dal 2014, i titolari di un conto deposito (o di un altro strumento finanziario per il quale è prevista l’applicazione dell’imposta) devono versare un’imposta di bollo pari al 2 per mille (lo 0,2%) calcolata sulla base della giacenza del conto o del valore di mercato dello strumento finanziario. Per le persone fisiche non c’è alcun tetto massimo di imposta, mentre per i titolari di un conto deposito diversi dalle persone fisiche l’imposta di bollo massima versabile è fissata a 14.000 euro.
In caso di conto corrente a cui è affiancata una linea vincolata, l’imposta di bollo del 2 per mille si applicherà alla quota di risparmi vincolata, mentre sulla linea “corrente” sarà dovuta l’imposta di bollo fissa di 32,40 euro oppure 100 euro.
Imposta di bollo sul conto corrente: come funziona la tassa sui depositi bancariClick To TweetImposta di bollo sui depositi bancari: i prodotti finanziari esenti
Come abbiamo detto in apertura, non tutti devono pagare l’imposta di bollo sui depositi bancari. Innanzitutto, non pagano l’imposta di bollo le persone fisiche titolari di conti corrente e di libretti di risparmio bancari o postali e di buon fruttiferi postali con un valore inferiore a 5.000 euro.
Nel caso dei conti correnti e di deposito e nei libretti di risparmio si tiene conto della giacenza media, calcolata dividendo il saldo giornaliero per il numero di giorni di apertura del conto. Nel caso dei buoni fruttiferi postali e di altri investimenti finanziari si considera il valore di mercato o il valore di rimborso.
Sono esenti dall’imposta di bollo anche i titolari di un conto corrente cosiddetto “di base”. Si tratta di conti gratuiti, introdotti dal governo Monti per ridurre l’uso del contante e riservati alle persone fisiche con un ISEE inferiore a 7.500 euro.
L’imposta di bollo non si applica poi ai conti che presentano un saldo negativo.
Anche se non è un vero e proprio caso di esenzione, non si paga l’imposta di bollo sui buoni fruttiferi postali per la parte di imposta che supera l’importo degli interessi maturati. Visto che i buoni fruttiferi postali rimborsano sempre per intero il capitale sottoscritto, se l’applicazione del 2 per mille dell’imposta di bollo dovesse essere superiore agli interessi, la quota eccedente non andrebbe pagata.
Se, ad esempio, l’imposta di bollo fosse di 50 euro e gli interessi maturati sul buono fossero di 20 euro, il titolare dovrebbe versare soltanto 20 euro, in modo da ricevere comunque il rimborso del capitale per intero.
Risparmiometro: un’altra tassa sui depositi bancari?
Tenere i propri risparmi in banca è un modo sicuro per conservarli in attesa di investirli o di spenderli. Depositare i propri soldi liquidi in un conto corrente, in un libretto di risparmio o in un conto deposito è anche pratico: bastano pochi passaggi per aprire il conto e per gestirlo, anche direttamente tramite le piattaforme di home banking degli istituti di credito.
In giro ci sono tante offerte di conti correnti e di conti deposito a zero spese: in questi casi è la banca a sostenere il costo dell’imposta di bollo al posto del cliente.
Date queste premesse, avere un conto corrente o dei piccoli investimenti in banca sembrerebbe poco costoso, ma sui risparmi aleggia un pericolo: il Risparmiometro. Chiariamo subito che il nuovo strumento a disposizione dell’Agenzia delle Entrate sarà un’arma in più per colpire gli evasori, perciò chi sa di essere in regola con il Fisco non deve temere nulla.
In un certo senso possiamo vedere il Risparmiometro come l’altra faccia della medaglia del Redditometro. Se il Redditometro serve all’Agenzia delle Entrare a verificare se, in base agli acquisti fatti, il proprio stile di vita è incoerente con il reddito dichiarato, il Risparmiometro serve a verificare se i risparmi sono inconsueti rispetto al reddito dichiarato.
Risparmiometro: come funziona?
Lo scopo del Risparmiometro è quello di verificare se ci sono incongruenze tra il reddito dichiarato e i risparmi accumulati, sotto forma di conti, carte di credito, titoli e depositi.
L’Agenzia delle Entrate, attraverso l’anagrafe dei conti corrente e le altre banche dati che raccolgono informazioni tributarie e finanziarie, può controllare l’entità degli investimenti, i movimenti nei conti e i prelievi dei titolari. Prendendo ad esempio i prelievi dal conto, questi dovrebbero essere sufficienti a coprire le spese del titolare, come quelle per l’affitto, per la rata del mutuo, per le spese correnti, per le vacanze, per le spese scolastiche dei figli, ecc.
Quando i prelievi sono ridotti all’osso e la quasi totalità del reddito dichiarato nel 730 o nel modello Redditi rimane sul conto si accende un campanello d’allarme e l’Agenzia delle Entrate può chiedere spiegazioni, avviando un accertamento o invitando il contribuente alla compliance. Per far scattare i controlli è necessario che lo scostamento tra i risparmi accumulati e quelli considerati “normali” sia superiore al 20%. A questo punto possono verificarsi due casi: o il contribuente ha evaso dei redditi o per vivere può contare su altri redditi non dichiarati perché esenti o tassati alla fonte.
Se l’Agenzia delle Entrate accerta l’evasione il contribuente dovrà pagare le relative sanzioni, mentre se le spese sono finanziate con redditi esenti o tassati alla fonte il contribuente dovrà dimostrarlo fornendo delle prove.
In caso di evasione, l’Agenzia delle Entrate può applicare la cosiddetta tassa sui risparmi, cioè tassare la parte di depositi considerata eccessiva.
Il Risparmiometro è in fase di sperimentazione: nel 2018 riguarderà soltanto le famiglie e nel 2019 sarà allargato anche alle persone giuridiche. La sperimentazione durerà due anni e se sarà giudicato efficace da parte dell’Agenzia delle Entrate potrà essere introdotto stabilmente.
Roberto Mezzadonna
Non sono Daccordo; i risparmi devono essere Risparmi ; e non un debito ,