Part-time agevolato: cos’è e come funziona
Per part-time agevolato si intende una misura sperimentale introdotta dall’articolo 1, comma 284 legge 208/2015 che viene incontro a chi, in attesa della sospirata pensione e magari abbastanza provato dal lavoro, non esiterebbe a ridurre, in maniera del tutto volontaria, l’orario di prestazione. Una misura che è stata creata per favorire la flessibilità nel mondo del lavoro e, almeno in teoria, aiutare l’entrata di chi ancora un lavoro non ce l’ha già.
Con il part-time agevolato, gli interessati, possono ridurre l’orario di lavoro da full time a part-time per un periodo di massimo 3 anni fino al raggiungimento della pensione.
Il provvedimento, un decreto attuativo firmato dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, riguarda solamente i lavoratori del settore privato. Sono quindi esclusi tutti quelli che operano nel pubblico e i lavoratori autonomi.
Possono usufruire del part-time agevolato tutti i lavoratori dipendenti purché con contratto a tempo indeterminato full time, impiegati in aziende anche con meno di 15 dipendenti. E questo indipendentemente dal Fondo previdenziale a cui si è iscritti.
Ecco le condizioni per richiedere il part-time agevolato:
- requisiti per la pensione di vecchiaia maturati entro il 31 dicembre 2018. Se siete nati entro il 31 maggio 1952, potreste anche accedere purché appunto abbiate, al momento della trasformazione del contratto di lavoro in part-time raggiunto almeno 20 anni di contributi;
- avere la possibilità di ottenere la riduzione dell’orario di lavoro compresa tra il 40 ed il 60% e per far ciò è ovviamente necessario un accordo individuale tra te e il datore di lavoro;
- accredito figurativo della contribuzione mancante (cioè contributi conteggiati ma non versati all’INPS);
- erogazione in busta paga della parte di contribuzione relativa alle ore non lavorate (si percepiscono i contributi relativi alle ore non lavorate).
Impresa e lavoratore firmeranno dunque un contratto di lavoro part-time che scadrà al raggiungimento dei requisiti da parte del lavoratore per l’accesso alla pensione di vecchiaia.
Cosa cambia per il datore di lavoro e per il lavoratore
Per il datore di lavoro che acconsentirà alla trasformazione del rapporto di lavoro, da full time a part time, si tratterà dunque di corrispondere in busta paga una somma pari alla contribuzione pensionistica che sarebbe stata a carico del lavoratore per quelle ore appunto non lavorate. Questa cifra non concorrerà né alla formazione del reddito da lavoro dipendente né sarà assoggettata a contribuzione previdenziale, compresa anche l’INAIL e l’assicurazione per le malattie professionali. Lo Stato provvederà invece ai contributi figurativi per la quota di retribuzione perduta.
E lo stipendio? Visto il passaggio dal full time al part time sarà comunque ridotto, ma appunto questo non inciderà sulla pensione.
Importante: la trasformazione da full time a part time può essere sia per un part time verticale (ossia delle giornate fisse full time in certi periodi della settimana, del mese o dell’anno) che orizzontale (riduzione dell’orario di lavoro in tutti i giorni della settimana).
Part-time agevolato: come richiederlo
L’INPS, con la circolare n. 90 del 26 maggio 2016, ha illustrato le modalità di accesso a tale beneficio che, ricordiamo, non sarà illimitato ma disponibile soltanto fino ad esaurimento fondi.
A partire dal 2 giugno è dunque possibile presentare una domanda di autorizzazione al part time agevolato attraverso una procedura telematica dedicata. Gli adempimenti coinvolgono sia il lavoratore che il datore di lavoro.
In prima battuta sarà il lavoratore a dover inoltrare all’INPS la richiesta di certificazione del requisito minimo di contribuzione per il diritto alla pensione di vecchiaia e del perfezionamento entro il 31 dicembre 2018 del requisito anagrafico.
Per ottenere tale certificazione ci sono due strade:
- richiederla direttamente sul sito INPS attraverso i servizi online accessibili tramite PIN dispositivo;
- rivolgersi ad un patronato.
Una volta ottenuta la certificazione, il lavoratore può stipulare con il datore di lavoro il “contratto di lavoro a tempo parziale agevolato“. A questo punto sarà il datore di lavoro a trasmette il contratto alla competente Direzione Territoriale del Lavoro affinché rilasci il provvedimento di autorizzazione entro 5 giorni lavorativi decorrenti dalla ricezione.
Trascorsi i 5 giorni, vale il silenzio assenso. Gli effetti del nuovo contratto valgono dal primo giorno del periodo di paga mensile successivo a quello di accoglimento della domanda.
Part time agevolato: donne escluse?
Firmato il decreto attuativo, la UIL ha subito rilevato una distorsione che sostanzialmente escluderebbe le donne dal beneficio appena approvato. Il problema per le donne è il requisito anagrafico, che ad oggi è ancora diverso fra uomini e donne mentre nel 2018 sarà equiparato.
Le donne nate nel 1951, che nel 2018 raggiungerebbero l’attuale requisito richiesto di 66 anni e 7 mesi, sono già uscite dal mondo del lavoro nel 2012; le nate nel 1952 usciranno nel 2016, raggiunti i 64 anni richiesti per il pensionamento. Per le donne classe 1953, invece, non sarà possibile maturare i requisiti richiesti entro il 2018 (65 anni e 7 mesi). Salvo modifiche in corsa, per le donne sarà dunque impossibile richiedere il part-time.
Il taglio ai fondi per il part-time agevolato
Il Governo ha introdotto il part-time agevolato con la legge di bilancio 2016. Inizialmente la legge prevedeva lo stanziamento di un fondo di 120 milioni di euro per il 2017 e di 60 milioni per il 2018. Il testo della legge di bilancio 2017 prevede però un sostanzioso taglio a questi fondi. Per il 2017 le risorse destinate a sostenere il part-time agevolato saranno solo 20 milioni di euro e quelle per l’anno successivo saranno 10 milioni.
La riduzione delle risorse è dovuta probabilmente a due motivi:
- nel 2016 le richieste di accesso al part-time agevolato sono state di molto inferiori alle previsioni;
- l’introduzione dell’APE e dell’APE social costituisce un’alternativa al part-time, dal momento che si rivolge alle stesse categorie di lavoratori.
Nei fatti, questa soluzione messa a disposizione per l’uscita anticipata dal mondo del lavoro è risultata poco appetibile. Questo risultato negativo potrebbe essere dovuto in parte al fatto che per i datori di lavoro si traduce in un aumento del costo orario del dipendente.
Quanto ai dipendenti, la causa è forse da riscontrare nel fatto che la platea di persone a cui si rivolge è ridotta, dal momento che non possono ricorrere al part-time agevolato né i lavoratori del settore pubblico né i lavoratori precoci, ossia coloro che hanno, come si intuisce, iniziato a lavorare in età piuttosto giovane, spesso ancor prima di diventare maggiorenne e che pertanto hanno molti anni di contributi – anche 40 – pur non avendo ancora l’età da pensione.
Si tratta spesso di lavori di fatica, ecco perché un part-time agevolato sarebbe potuto venire incontro anche alle esigenze di questi lavoratori.
Part-time agevolato: il fallimento dell’operazione
Sebbene sulla carta questa proposta poteva sembrare interessante, soprattutto per i lavoratori provati da anni di attività magari logorante, così non è stato nella realtà dei fatti. I numeri dell’INPS decretano infatti il fallimento della misura: soltanto 200 domande in oltre 7 mesi.
Ecco i punti di debolezza dell’operazione:
- la previsione di un accordo, di fatto privato, tra lavoratore e datore di lavoro (probabilmente questo punto ha dissuaso molti aventi diritto oppure chi voleva aderire non è riuscito a trovare l’accordo necessario);
- l’esclusione di fatto delle donne, poiché la misura per requisiti e tempistiche va a sovrapporsi con Opzione Donna, operazione dedicata esclusivamente alla platea delle lavoratrici;
- la scarsa convenienza per i datori di lavoro, che si ritroverebbero con un dipendente ad orario ridotto e una quota aggiuntiva da versare sullo stipendio (equivalente ai contributi non versati).
Polemico il Presidente INPS, Tito Boeri che già dopo il primo mese di operatività della misura avvertiva sugli:
“interventi estemporanei e parziali con costi amministrativi superiori alle somme erogate.”
Chiudiamo con il commento sui dati del Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti:
“Le cose vanno sperimentate e quando, come in questo caso, non danno buoni risultati bisogna prenderne atto. Si utilizzeranno strumenti diversi.”
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